La parafrasi del romanzo di uno dei miei scrittori americani preferiti, Raymond Carver, già citato in questo blog a proposito di serie tv come contenuti d’autore, “Di cosa parliamo quando parliamo…” non di amore, ma di Inbound marketing, è solo un pretesto per spiegare cos’è Inbound marketing.
Per trovare la giusta definizione di Inbound marketing parto dal suo opposto, cioè dall’outbound marketing, la forma tradizionale di marketing attraverso cui le aziende comunicano al mondo esterno i proprio intenti, come i valori e la missione del brand, ma più spesso con iniziative e offerte commerciali.
Questa tipologia di comunicazione è unidirezionale, finalizzata a trovare clienti e diffusa generalmente dai mass media tradizionali come stampa e televisione.
Con la rivoluzione digitale portata da internet, dai social e dal mobile, il consumatore ha assunto il ruolo di consumAttore, infatti, attraverso un computer e una connessione a internet, esprime pareri e lascia recensioni, su prodotti e servizi, che altri leggeranno. Ed è già stato provato che riponiamo maggiore fiducia nel giudizio delle persone piuttosto che in quello delle aziende.
L’inbound marketing è attivo principalmente sui nuovi media, anche se assistiamo a sempre maggiori contaminazioni tra i due, e indica quel tipo di comunicazione dove l’azienda mette al centro del proprio mondo il consumatore cercando di ascoltarne problemi e necessità.
Questa inversione di marcia fa sì che non sia più l’azienda a cercare i clienti, ma essi stessi a trovarla nel momento di necessità, passando di fatto dall’interruption marketing all’interceptor marketing (concetto ampiamente affrontato nell’omonimo libro di Benedetto Motisi). In che modo? Attraverso:
- l’ascolto (con software di buzz monitoring come Talkwalker, Buzzsumo e altri);
- instaurando conversazioni, ad esempio mediante i canali social media;
- creando community (Gianni Morandi in questo insegna);
- creando contenuti che spostano l’attenzione dal prezzo del prodotto a soluzioni valide per il consumatore in termini di usabilità o di intrattenimento: ne è un esempio Netflix con la serie House Of Cards.
Quali sono i problemi dell’inbound marketing
I problemi più lamentanti in questo ambito sono:
- difficoltà a misurare il ritorno degli investimenti (ROI);
- costi nella realizzazione e nella gestione dei contenuti che deve essere costante nel tempo, per questo è importante avvalersi di tecniche di content marketing (a livello di cura dei contenuti e di content curation per la SEO);
- i risultati si ottengono nel lungo termine.
Relativamente al primo punto, in realtà sui diversi canali di applicazione è possibile tracciare in modo molto puntuale i risultati ottenuti. Un esempio è il direct email marketing che con pochi sforzi consente di creare fidelizzazione con il cliente e di misurare l’Open Rate e il Click to Rate dei messaggi. In questo ambito, sono considerate inbound le automazioni che, attraverso azioni svolte dal lettore (come scaricare un documento, cliccare su un link), riescono a “educarlo” e guidarlo all’interno del percorso di conversione.
Inbound Marketing e Seo marketing
Uno dei maggiori benifici portati dall’inbound marketing è a livello di SEO – Search engine optimization. Infatti, gli utenti sono sempre più connessi, anche via mobile, e abituati a utilizzare i motori di ricerca, in particolare Google, per trovare risposte ai propri quesiti. Essere presenti sui diversi canali da loro frequentati e offrire contenuti che rispondono a domande/bisogni precisi, significa intercettare potenziali clienti (prospect).
Tutto il processo ha inizio con l’individuazione del nostro consumatore-tipo, buyer persona, e con una keyword strategy indispensabile per realizzare un piano editoriale per i contenuti.
Ci sono ovviamente tante strategie di digital marketing che si differenziano in base al cliente, al settore merceologico, al budget a disposizione e che non escludono l’uso di campagne a pagamento come Facebook Ads o AdWords. Tuttavia le ricerche dimostrano che sempre più aziende stanno spostando i propri investimenti su strategie di Inbound Marketing, anche semplicemente assumendo un Content Media Manager e aprendo un blog aziendale e una newsletter.
L’ultimo suggerimento è quello di monitorare sempre gli sforzi messi in campo (allo scopo ci sono più strumenti tra i social report e altri analytics a venirci incontro) e, dove richiesto, correggere il tiro affidandosi a persone esperte.
Il tuo business è pronto per l’inbound marketing? Vuoi raccontarmi la tua esperienza lasciandomi un commento?
Se l’articolo ti è stato utile condividilo: qualcun altro potrebbe trovarlo interessante! Se vuoi ricevere risorse esclusive iscriviti alle news attraverso il form qui sotto!
Oh sweet, onoraterrimo che il concetto di “interceptor” si stia sdoganando *_*
Benedetto, ho naturalmente letto e apprezzato il tuo libro! Felice di essere stata ‘intercettata’ 🙂 Ho rimediato alla mancata citazione dell’omonimo libro con link diretto ad Amazon che arricchisce per altro il valore del post!
Grazie mille *_* già il post in sé in realtà sviscera (quanto mi piace ‘sto termine) ottimamente l’idea di “PULL” e non di “PUSH” tipico del marketing inbound e d’intercettamento 🙂
Ciao, utilissimo riepilogo, specialmente per la precisazione degli strumenti che possono essere adottati per misurare l’efficacia delle iniziative di content marketing: in effetti questo è l’aspetto che probabilmente interessa di più i clienti e di più difficile dimostrazione, dato che i risultati non si vedono in genere nel breve periodo ma sono più stabili e consistenti.
Magari può aiutare anche avvalersi di case study di brand vincenti per dimostrare la fondatezza di tali strategie, cosa ne dici?
Ciao Ilario,
grazie! Trovo che fanno grande opera di Inbound Marketing, in particolare sul Content, aziende come Moz.com, Yoast, Hubspot mentre sui social media Buzzfeed e Mashable. Il caso di Netflix con House of Cards è però documentato dai numeri mentre per le altre sono solo sensazioni. Magari proverò a indagare meglio!